COMMENTARIO
LA GRANDE AVVENTURA DI CARL significa moltissimo per me. Sia a livello di maturazione stilistica che a livello umano.
A livello stilistico, ci tengo a farvi notare alcune cose.
Tutta la storia è realizzata in modo volutamente "povero". I toni sono leggeri,
garbati, quasi infantili. Le situazioni molto disneyane e addirittura un po' assurde. E'
tutto molto semplice, dalle descrizioni dei luoghi alle persone. Leggendo le mie storie,
siete abituati a descrizioni minuziose, dettagliate, a una caratterizzazione certosina dei
personaggi e dei luoghi, il tutto volto a incrementare il senso drammatico dei racconti.
Qui invece non c'è niente di tutto questo. Perché? Perché non è necessario. Non è una
storia quella che vi racconto, è un'idea.
Notate, ad esempio, che di Carl e di ciò che gli sta intorno io non vi dico un
accidente. Tutti i personaggi sono delineati sbrigativamente, in modo spartano ed
essenziale. Il dottore è una figura stilizzata, caratterizzata unicamente dai baffi,
dagli occhiali e dalla cartella: tutto quello che serve per dare l'impressione di una
persona gentile. La madre di Carl, di cui non si sa neanche il nome, è una presenza
rassicurante e dolce, ma profondamente sofferta. Quasi non ha un volto: per capire come si
sente bastano due dettagli, gli occhi tristi e i capelli stanchi. Già così potete
immaginarvela. Carl stesso è una figura vaga, anonima, quasi uno stereotipo. Di lui non
si sa praticamente nulla. Non ha una faccia, non si sa in che luogo del mondo viva
(Italia? America?), della sua stanza vediamo solo i poster Disney, non si sa neanche che
malattia abbia, solo che è un male incurabile. Potrebbe essere leucemia, cancro... non ci
interessa. Tutto quello che è necessario sapere è che sta morendo. E l'altra cosa
essenziale: è un lettore adorante di PK e Witch.
Quindi questa storia non ha dei veri personaggi, non ha un dove, un quando, un come... ha
soltanto un perché. Non c'è una logica precisa, c'è soltanto la rappresentazione della
fantasia di questo bambino, che è la vera protagonista. Chi è Carl? Posso essere io, può essere Carl Barks, può essere un
qualunque fan di fumetti. Carl è un'icona, un contenitore vuoto che serve a raccontare i
veri significati della storia.
Carl siamo tutti noi.
Quale genere?
Questo racconto NON HA un genere. Non si può dire che sia un crossover, perché Pk e
le Witch non sono i protagonisti. Non è una storia umoristica, perché è
impregnata di un profondo senso di tristezza, né una storia drammatica, perché ha degli
irresistibili momenti comici.
La parola che ho deciso di usare per definirla è mèta-storia. Cioè un
racconto che va oltre il racconto, dove fantasia e realtà si fondono, le persone vere e i
personaggi dei fumetti possono incontrarsi e interagire senza tanti problemi. Questo tema
non è certo nuovo: già in diverse storie Disney (compresa la già citata "Zio
Paperone e l'uomo dei paperi", che a tutti gli effetti ha ispirato questa storia)
abbiamo visto personaggi e autori convivere e dialogare cordialmente, anche se qui è
diverso. Nel momento in cui Pk si trova di fronte a Phobos-Evron c'è addirittura un gusto
tutto Ratmaniano che assumono i dialoghi, con Evron che minaccia di coolflamizzare le
lettrici di Witch e via dicendo, in un crescendo umoristico che per il lettore Disney di
nuova generazione è qualcosa di gustosissimo. Il fumetto e l'autocitazione si fondono,
lasciando libero spazio a una comicità demenziale e genuina. (perfino io stesso mi sono
citato più volte nel racconto, come potrete notare: alla fine sono proprio io a portare
alla madre di Carl la storia disegnata...)
Eppure l'umorismo di cui è impregnata l'avventura di Carl a Meridian (che, come avrete
capito, NON E' la vera storia, ma è incidentale: la vera storia è tutta nel finale)
contrasta, stride profondamente con il senso di ineluttabilità e di profonda tristezza
che si avverte nelle battute finali. L'impressione che si ha è di un dolore vergine e
puro, come la bianca neve che cade a Natale e ricopre i prati di silenzio; se ci pensate
è la stessa cosa che si prova a guardar fuori dalla finestra in un pomeriggio di pioggia,
e non a caso quando l'ho scritta il cielo fuori dal mio balcone era affollato di toni
grigi. Anche qui, notate che il tutto è raccontato con delicatezza, con un rispetto quasi
sacro per la leggerezza della storia: quando le Witch e Pk si trovano di fronte alla tomba
di Carl, il lettore non se ne accorge prima della 16ma riga, dove si cita "il nome
inciso di Carl". Prima di allora non si capisce che il bambino è morto già prima di
Natale, al contrario di quello che aveva detto il dottore. E' indubbiamente un'amara
sorpresa, un brusco shock che dopo il divertimento ci riporta di colpo alla realtà.
Io però, fateci caso, non vi nomino mai, né prima né dopo, alcun elemento che richiama
direttamente alla morte, neppure la parola stessa. Non si sentono mai le parole
"tomba", "cimitero"... il tutto è raccontato quasi con un distacco
timoroso, come se non volessi disturbare Carl, o non volessi dire esplicitamente al
lettore che il bambino è morto. E' quindi una morte che "non fa male", ma che
ci rende molto tristi. Una differenza totale rispetto agli altri miei lavori, in cui la
morte è sempre richiamata molto da vicino, con un effetto potente, quasi
impressionistico, dove il contatto tra il lettore e la morte è sempre immediato e diretto
come un pugno nello stomaco. Qui no: la grande avventura di Carl si è conclusa, non
vogliamo sapere come: è finita e basta. Non viene detto neanche come è morto, di tutto
il periodo tra la mattina dopo l'avventura e il giorno al cimitero non si sa assolutamente
nulla.
Realtà e fantasia.
Ciò che rende veramente bella questa storia, a mio parere, è che pur essendo del tutto
fantastica conserva il senso di realismo. In una storia per bambini Carl sarebbe stato
salvato dai suoi eroi. Ma qui no: questo è il mondo reale.
Dice Hay Lin:
"Will, senti..."
"Che c'è?"
"Secondo te... a che cosa servono tutti i nostri poteri... a cosa ci serve saper
volare, viaggiare tra le dimensioni, parlare con gli elettrodomestici se... se..."
"Se non possiamo fare niente per salvare una singola piccola vita?"
"Sì."
"Non ti so rispondere stavolta, Hay Lin. Io posso soltanto fare qualche magia... i
miracoli sono di qualcun altro. So solo che non tutte le fiabe e i desideri possono
avverarsi... anche se, a volte, è quello che vorremmo disperatamente."
Il significato è chiaro: realtà e fantasia sono, purtroppo, irrimediabilmente
separate. Anche se gli eroi che vivono nella nostra fantasia possono renderci felici, essi
non possono cambiare la nostra sorte. Possono fare magie, non miracoli. E
QUESTO, proprio questa considerazione, porta direttamente al vero tema della storia:
una profonda riflessione su quello che è il compito del narratore.
Il ruolo del fumettista.
Come dice Pk: "In quella fantastica avventura che tu stesso hai scritto e che
noi abbiamo voluto farti vivere hai dimostrato a te stesso che gli eroi non sempre volano,
lanciano magie o sparano. Sei stato tu stesso un eroe, nella tua fantasia come nella vita
vera, e fino all'ultimo hai affrontato con coraggio la tua malattia, senza abbatterti,
senza lasciarti mai vincere dallo sconforto, senza incattivirti col mondo, mantenendo viva
in te quella meravigliosa scintilla di poesia e magia che ha reso possibile la tua grande
avventura. Lo sai, tutte le storie finiscono, in un modo o nell'altro... alcune bene,
altre meno. Ma ce ne saranno sempre di nuove da raccontare, e noi saremo pronti a viverle
con te e per te, tutte le volte che vuoi. Tanto lo sai dove trovarci, no? Seconda stella a
destra, e poi dritto fino al mattino."
La dedica alle persone che sopportano serenamente malattie tremende è palese, e non mi ci soffermerò, passando subito all'altra questione.
Queste parole mi danno l'occasione di lanciare un appello, che spero sia ascoltato
soprattutto da chi tra i redattori Disney ci legge.
Avete capito il significato di ciò che dice Pk? Guardate che è qualcosa di profondissimo
quello che emerge da queste frasi.
Il ruolo del fumettista, e del narratore in generale, è qualcosa di molto particolare.
Non è un semplice mestiere. Quando quella meravigliosa scintilla si accende, quando in
una persona dotata delle qualità giuste sboccia (anzi, esplode) quel desiderio
insopprimibile, quella spinta primordiale a narrare, a raccontare le proprie storie, è
qualcosa a cui non ci si può più sottrarre per tutta la vita. Solo chi lo ha sentito
veramente, come me, può capirmi: non pretendo che lo facciate tutti. Quella del narratore
non la considero come un semplice mestiere... per me è quasi un'attività sacra. L'esprimere
ciò che si ha dentro, per donare gioia e speranza ai lettori, diventa un compito di vita,
praticamente una missione. Un narratore vero (sia che scriva che disegni) non
è un impiegato, uno spazzino, un edicolante, o un artigiano, con tutto il rispetto per le
categorie. E' un artista. E' qualcosa con cui si nasce: se si è narratori, lo si è per
sempre, non si può fare nient'altro meglio di quello.
Soltanto chi ha sentito dentro quel desiderio di raccontare per offrire qualcosa di bello
agli altri potrà dare vita a storie belle: altrimenti potrà scrivere o disegnare quanto
vuole, ma i suoi racconti non avranno mai "un'anima". Il mestiere
dell'intrattenitore, di chi fa fumetto ma anche di chi lavora in altri campi, ha una
dignità altissima, perché i suoi lavori hanno il potere di suscitare emozioni e passioni
nella gente. E' un grande destino, una strada che va seguita con il dovuto impegno,
perché può dar vita a risultati memorabili.
Perciò il narrare non va preso come sedersi alla scrivania e riempire un foglio per
sbarcare il lunario, cosa che oggi succede troppo spesso. Il lavoro tecnico e l'esigenza
economica non devono necessariamente essere disgiunti dall'aspirazione artistica. Chi
lavora con questo spirito, per quante qualità tecniche o talento possieda, non produrrà
MAI niente di veramente bello, niente che valga la pena essere ricordato. E' un accorato
appello a voi della redazione Disney, quello che faccio. Sì, proprio a voi che siete lì
a leggere: tu con gli occhialetti e la faccia furba, tu col pizzetto, tu con la barba, e
anche tu, laggiù, che ti sei fatta la foto col cappello da strega! Parlo con voi! Da ciò
che voi fate dipendono le passioni dei vostri lettori. Anche parlando solo per me, il
vostro lavoro ha cambiato la mia vita. E' una responsabilità grande quella di cui siete
investiti, non è cosa da poco. Cercare di esserne sempre all'altezza è un dovere, anche
quando siete stanchi, anche quando non ne potete più. La regola di vita di chi fa fumetti
deve essere quella di impegnarsi al massimo in ogni occasione, per offrire al lettore quel
senso di stupore, di magia e poesia, che solo chi ha sentito la scintilla dentro di sé
può raccontare, quella stessa scintilla che ha reso felice il piccolo Carl, e se una cosa
può rendere felice qualcuno è bellissima per forza.
In ogni storia che si fa bisogna mettere il massimo impegno; non cercare mai una timida
approvazione, ma sentire sempre quello che si fa col cuore oltre che con la mente, cercare
ogni volta di tirare fuori un capolavoro. Così ha fatto Barks, e così dovete fare voi,
perché solo così si fanno cose belle.
Ecco ciò che questa storia, scritta da un umile lettore, vuole insegnarvi, o perlomeno
ricordarvi (giacché non guasta mai). Qui c'è gente che crede in voi, che vi
stima e vi vuol bene. Come dice Pk, "Non sempre le cose vanno come vorremmo.
Però... se si hanno degli amici su cui contare... dei veri amici... e se si crede in sé
stessi... si possono realizzare anche le imprese più impossibili. E anche se a volte ci
capitano battaglie che non possiamo vincere... anche quando si perde... se lo si fa con la
consapevolezza di aver combattuto e dato il meglio di sé, quella è già da considerarsi
una vittoria.". Carl ha vissuto mantenendo entusiasmo e speranza fino alla fine,
anche grazie all'aiuto che voi gli avete dato con le vostre storie, che lui amava così
tanto. E così, se voi ogni giorno lavorate mettendoci il cuore, sia che diate vita a una
storia modesta che a un capolavoro, in essa ci sarà sempre qualcosa di bello, perché
avrete dato vita a un sogno, al di là di tutte le spietate leggi che il commercio impone.
Uno degli infiniti, che aspettano ancora di essere realizzati, per tutti i Carl di questo
mondo che amano la fantasia.