La definizione “evronita” comprende la spora e i successivi stadi di accrescimento durante i quali una parte interna della struttura comincia a differenziarsi verso l’individuo adulto.

Tale struttura, chiamata evrònide, si comporta come un’entità a sé stante di tipo simbiotico/parassita e fagocita i tessuti della spora stessa assumendo un aspetto vagamente paperomorfo.

Una volta completato il proprio sviluppo essenziale, esce dal suo “contenitore” sfondandone la corteccia esterna. Morfologicamente e funzionalmente, l’evrònide è ancora lontano dallo stadio adulto.

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I suoi arti superiori sono quasi privi di coordinamento e il cranio megacefalo è quasi totalmente occupato dalle circonvoluzioni tele-empatiche di cui la creatura si serve per assorbire il proprio nutrimento, costituito dalle vibrazioni emotive.

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Piccolo e pericoloso: l’evrònide è vivacemente colorato per rendersi visibile agli adulti della sua specie e per segnalare la sua pericolosa presenza

Il becco, praticamente atrofico nell’evroniano maturo, è funzionale e collegato a un rudimentale apparato digerente che consente all’evrònide di ingerire e metabolizzare piccole quantità di cibo: si tratta probabilmente di un retaggio ancestrale che scompare appena superata la fase infantile.

Si può supporre che tale tratto derivi dalla loro natura di predatori, che fin dalla nascita li guida a cercare non qualcuno che li nutra, bensì qualcuno di cui nutrirsi.

Ciò che resta dei loro istinti parentali è una sorta di imprinting sociale che li porta a ubbidire ciecamente a chi riconoscano quale “genitore”, così come poi seguiranno gli ordini di chi accettino geneticamente come superiore.

Con l’aumentare della massa corporea, muta la struttura della corazza fisiologica. Da una struttura reticolare-cristallina si passa a una livrea chitinosa ma elastica, simile a una tuta monopezzo.